27 novembre 2007

BRYCE CANYON



Atterrati a Page, risaliamo sul pullman, dove ritroviamo la guida e alcuni del gruppo che non hanno sorvolato.
Riprendiamo la strada e ci dirigiamo verso un altro canyon, il Bryce, che scopriremo essere l’unico dei canyon americani che certamente “morirà”; nel giro di qualche decina d’anni non sarà più come lo vediamo noi oggi.
Il suo colore particolare e bellissimo, infatti, è dato dalla presenza di ferrite nella roccia, prevalentemente calcarea, la quale si sfalda, si deteriora sotto l’azione degli agenti atmosferici. Vento e pioggia collaborano all’unisono cancellando e sciogliendo la bellezza di queste rocce.
La natura crea e distrugge. E’ più forte di noi.
Tra qualche tempo l’attrattiva di questo luogo svanirà e non ci sarà più un Bryce Canyon rosso-rosa, ma solo un canyon bianco. In qualche punto, qua e là, è già visibile quello che sarà l’effetto finale, che effettivamente si dimostra essere di portata nettamente inferiore al “vero” Bryce.

Arriviamo al punto panoramico indicatoci dalla guida (che ci dice di non fermarci al primo scorcio ma di seguirla fino al punto fatidico!) e ancora una volta restiamo sorpresi e affascinati; viviamo ciò che già abbiamo conosciuto osservando l’immensità del Grand Canyon.
Qui, però, forse per il senso di relativa “finitezza” che si ha osservando, perchè tutto è più ristretto e a portata di occhi e quasi di mano, ci sentiamo ancora più calamitati.

I nostri occhi sono rubati da queste rocce illuminate di traverso dalla luce del sole che sta calando. E’ la situazione ideale, dove tutti i colori sono enfatizzati. Silenzio, aria fresca, pura, natura all’ennesia potenza è quanto vediamo.
Restiamo senza parole; riusciamo solo a dirci, ancora una volta, che un posto del genere altrove non c’è e che lo si deve vedere dal vivo per percepirne tutta la bellezza e maestosità.
Maestosità: ecco un aggettivo per definire la natura che abbiamo visto fino ad oggi in America.

Tante cose possono essere maestose, tra le opere dell’uomo: palazzi, cattedrali, teatri, stadi, navi, monumenti...ma quando è la natura, con la sua grandezza, a suggerirmi il concetto di maestosità, la sensazione che vivo è diversa.
E’ qui, infatti, che percepisco la vera essenza della maestosità e, di contro, l’infinita piccolezza dell’essere umano.
Dinanzi alla natura è difficile rimanere impassibili e ci si ri-scopre capaci di sentimenti e sensazioni conosciute ma non consuete, che ti portano a riconfermare dentro di te che davvero Dio esiste, è anche lì, vicino, a portata di mano (come sempre, d’altronde) e si esprime e ti parla anche attraverso un Canyon americano.

17 novembre 2007

GRAND CANYON-MONUMENT VALLEY-POWELL LAKE

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Oggi ci aspetta il voloNon siamo mai stati in questa parte di mondo, e nè io nè Marco siamo mai saliti sul un aereo monoelica da 9 posti.
Arriviamo al Grand Canyon Airport e in breve ci troviamo suddivisi in gruppetti.
I nostri aerei sono in arrivo da Page. Delle altre compagnie, ci dice la guida, non c'è da fidarsi molto...
Decidiamo di fidarci noi delle sue parole (c’è poca scelta!)...e sorridiamo quando scopriamo che il pilota che ci porterà in volo è donna...per giunta bionda.
Dovremo ricrederci velocemente: la signora si dimostrerà simpaticissima e anche molto brava. Arriveremo a destino interi; questo ci basterà.

Decolliamo. Sotto di noi una distesa di pini e abeti illuminati dalla luce obliqua del sole e dall'umidità notturna che si alza.



Oltre e tutto intorno il cielo è terso, pieno del freddo che abbiamo sentito sia usciti dall'albergo che nel pezzo di pista che abbiamo precorso a piedi dall'androne del piccolo scalo aeroportuale fino all’aereo.
In lontananza vediamo solo l'orizzonte che, chissà quante migliaia di miglia più avanti, arriva a toccare terra. Lì cielo e terra sono una cosa sola. Noi siamo nel mezzo…e si sente!



Dopo alcuni minuti di distesa verdeggiante sotto di noi, arriviamo in prossimità del baratro che per 1200 metri scende praticamente in verticale, fino al fondo del Canyon...
Siamo avvolti dall'ambiente del velivolo, con cuffie stile piloti in testa, per ammortizzare il rombo dei motori e per permetterci di ascoltare un po' di storia del luogo sacro per gli indiani Navajos e di loro proprietà e competenza.

E' indescrivibile quello che vediamo e vedremo sotto di noi.
Davvero Chi ha creato tutto questo, ha pensato bene a come farlo…e l’ha fatto decisamente da Dio…!

Il Grand Canyon è un susseguirsi di colori, torri, strapiombi, cunicoli, archi naturali, fiordi asciutti che mente umana non riuscirebbe a disegnare con la sola fantasia.

Il tragitto fino allo scalo del Monument Valley Airport sembra lunghissimo (non ho idea nemmeno ora di quanto sia durato) ma non c’è un attimo di noia in nessuno dei nove passeggeri.
Da qualsiasi parte ci si giri, da qualsiasi finestrino si guardi, c’è sempre sbigottimento.

Arrivati alla Monument Valley (in lontananza, già dalla pista, si vede la scenografia, vera, dei più famosi film western), una specie di emozione avvolge tutti. Qui ci ritroviamo con gli altri del gruppo e tutti, più o meno ammutoliti, saliamo sul pulmino che ci porterà nel cuore della Monument.

Nuovamente, siamo affascinati.
Non si riesce a non pensare di aver già visto altre volte questo scenario in tele o in foto o su un poster…ma come per il Grand Canyon, non è possibile paragonare un ricordo visto su uno schermo con la presa di coscienza in prima persona di questa meraviglia naturale.



Il silenzio è assoluto, rotto solo dal cigolio del pulmino quando siamo in movimento o dalle nostre voci quando scendiamo, nelle tre tappe previste (ten minutes!).
Ci sentiamo tutti un po’ cinesi: non facciamo che fotografare ogni singola pietra, ogni mucchietto di sabbia, ogni torrione…(certo, non so chi potrebbe resistere dal mandare in tilt la digitale, davanti a una tale potenza!)
Ma tant’è, ragioniamo al pessimismo: magari non ci torniamo più e allora ne approfittiamo adesso! Balle, perché ci piacerebbe tornarci domani…e chissà che non si riesca!

Torniamo al monoelica e da qui decolliamo per l’ultimo tratto.



Sorvoliamo il Powell Lake dove davvero abbiamo l’impressione che il cielo si sia rovesciato e insinuato tra le insenature del Grand Canyon, fino a formare quel lago (infatti il Powell altro non è che il Colorado sbarrato da una diga).
Penisole, insenature, isolette, barche…3000 chilometri di costa…
I colori ci abbagliano in tutta la loro bellezza e ne assaporiamo nuovamente la forza.

E’ troppo difficile e troppo limitate le possibilità per descrivere su una pagina digitale quanto abbiamo visto in quel volo.
Certo è che tutti, tutti, atterrati a Page e ritrovati insieme, abbiamo dichiarato questo volo come i migliori $$$ spesi in tutto il tour e come certamente la parte più ipnotizzante e coinvolgente.

12 novembre 2007

10/10/07 PHOENIX-SEDONA-GRAND CANYON

Oggi facciamo la nostra seconda colazione americana. Non è facile abituarsi alla mole di cibo che mandiamo giù…un po’ per fame, un po’ per curiosità, un po’ per tirar lungo fino all’ora di pranzo e non sentire una voragine nello stomaco a metà mattina.
Facciamo fatica ad abituarci alla nuova dieta, così come faremo fatica, tornati in Italia, a tornare al regime consueto in auge a casa. (per qualche giorno, infatti, la mattina avrò fame dopo un’ora dalla colazione!)
Oggi ci addentriamo nella parte più avventurosa e interessante del viaggio, dal punto di vista paesaggistico.
Lungo la strada, sugli altipiani desertici dell’Arizona, ci lasciamo accarezzare dal profilo dei cactus, piante protette (c’è un cactus disegnato sulle targhe dell’Arizona), che possono arrivare a vivere qualche centinaio di anni, allungando braccia laterali per compensare il peso del fusto centrale.
Il deserto è ancora attorno a noi e la temepratura calda.

Arrivando però a Montezuma Castle, roccaforte degli indiani Navajo dal nome precolombiano, percepiamo i primi abbassamenti di temperatura.
Montezuma Castle: una grotta che fu scelta dagli indiani come rifugio, perché più fresco d’estate e protetto dal caldo torrido e desertico della regione, e più caldo di inverno.
Veniamo messi all’erta dalla guida sulla possibile presenza di serpenti in passaggio intorno al camminamento asfaltato; ci invita a non sconfinare dal marciapiede! Scherziamo, facciamo battute sull'eventualità di trovarcene davvero uno tra i piedi...ma sotto sotto, trovarcene uno davanti non ci migliorerebbe di certo la giornata!
Qui la natura è brulla e a tratti incontaminata... Buona scelta fecero i Navajo centinaia di anni fa!

Dopo Montezuma ci dirigiamo a Sedona, tranquilla e deliziosissima cittadina di 4000 abitanti nella zona di Oak Creek Canyon, sempre in Arizona.
Qui ci imbattiamo in persone che sembrano appena uscite da un film western (o forse siamo noi che ci siamo entrati dentro!) per come sono abbigliate!
Cappelli da cowboy, stivali, ninnoli indiani, capelli lunghi…

Eppure le persone qui distribuite, vestite così, sono intonate, sono affascinanti…noi sembreremmo flippati di cervello ad andare conciati in quel modo per le città italiane!

Torniamo nelle grinfie del caldo...nel tentativo di telefonare in Italia, mi becco una botta di caldo che si rivelerà ardua da smaltire...
Pranziamo alla messicana, al Mexican & Southern Dining, e dopo un po' di sano shopping turistico, risaliamo in pullman.
La nostra prossima destinazione è il Grand Canyon Lodge, non lontano dal Grand Canyon National Park, che avremo la possibilità di vedere sia da altezza-naso (dai frequentatissimi posti panoramici che si affacciano sul buco del Colorado) sia, il giorno seguente, con gli occhi di Dio.

L'assaggio che ci prendiamo del Grand Canyon, da altezza-naso, ci lascia senza fiato.
Per la prima volta ci troviamo davanti un'immensa distesa di rocce e alberi e dislivelli di 1200 metri al quale nessuna foto, nessun filmino, nessun poster e nessuna descrizione minuziosa o appassionata può rendere onore.



La natura ha creato qualcosa di impensabile da una mente terrena. Senti quanto sei piccola e quanto ipotente anche: la tua voce si perde immediatamente. Non c’è eco. Troppo infinitamente grande è lo spazio che ti separa dalla sponda di terra successiva, davanti a te.



Non c’è un posto simile a questo sulla terra e non c’è verso di staccare gli occhi da quanto ci troviamo davanti.
Ad oggi passo, lungo il camminamento, scattiamo foto. Un seplice albero o un arbusto in primo piano rispetto al canyon ci fanno apparire tutto stupendo e da fermare in un click. Così è, e così facciamo tutti.
Dopo un paio d’ore trascorse dinanzi a una delle sette meraviglie del ondo, torniamo al pullman e da lì al lodge che ci ospita per la notte.

Ormai fa freddo, anche l’altitudine (circa 2000 mt) fa la sua parte e si fa sentire al di sotto della giacca a vento.
Domani ci aspetta il volo sopra il Grand Canyon, la Monument valley e il Lago Powell...

Lo spettacolo continua...

09 novembre 2007

ABBIATE FEDE...

Ne ho molta anche io nei potenti mezzi tecnologicamente avanzati delle compagnie telefoniche...
Sono ancora in attesa della linea telefonica e, di riflesso, della connection to the net, per questo il racconto degli honeymooners tarda tanto ad arrivare.

Abbiate fede, dicevamo...
prima o poi (di 'Sto passo prima poi che prima) ce la farò!

Kisses

01 novembre 2007

LA-Phoenix-Scottsdale (attraverso i deserti della California e dell'Ariziona)

08/10/2007

Il primo giorno di viaggio su strada si dipana tra Los Angeles, Phoenix e Scottsdale. 594 km su sei ruote.
L'uscita da Los Angles è ardua; sembre di essere sul raccordo anulare di Roma all'ora di punta. C'è chi dorme, chi osserva...

Usciti dal caos dei 200 km di auttostrade dentro LA, attraversiamo lande desertiche lunghe e calde, dove incrociamo tante macchine, per la verità, ma anche dove ci sono pochi insediamenti urbani e umani.
Dal finestrino oscurato (i pullman americani non hanno tendine parasole), si percepisce ugualmente il colore del caldo che c'è fuori.

Infatti come scendiamo per una sosta, l'afa ci invade e secca ancora di più le nostre narici, sottoposte da un paio d'ore all'azione del condizionatore.
E' strano respirare aria desertica. Non ero mai stata in un luogo torrido fino al punto di avere attorno, ai bordi della strada, sabbia, pietrine e ciottoli come accade qui.

Dopo il prnazo in un locale lungo la strada, ripartiamo, questa volta diretti e senza soste, alla volta di Scottsdale.
Transitiamo molto rapidamente per Phoenix, che è stata creata dal niente, come tante altre città americane, perchè diventasse capitale dell'Arizona. E' una città giovane, nata all'inizio degli anni '60.
E' bello, ma abbiamo poco tempo per ammirare la città; lo facciamo praticamente solo dal pullman, prima di arrivare all'albergo a Scottsdale. Anche per oggi pagheremo un po' di contributi alla Paris...

Un bagno in piscina, in una piscina a più vasche, con scivolo e cascate, un po’ di idromassaggio Iacuzzi all’aperto, con acqua calda da sembrare termale, e poi cena.

Non tocchiamo nemmeno con la punta della forchetta la pasta che, sul tavolo del buffet, vorrebbe esser mangiata da noi italiani...
Qualcuno del gruppo la assaggia, confermandoci la non bella figura che, in bocche esigenti come le nostre, poverina dà di sè!

Nel frattempo iniziano i contatti tra noi, vacanzieri praticamente tutti honeymooners, sedendoci al tavolo insieme e chiacchierando...
Iniziamo a vedere che rappresentiamo praticamente tutta l'Italia...
Toscana, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Sicilia, Campania, Emilia Romagna...e la cosa è bella e divertente!

Il caldo ci accompagnerà per tutto il resto della serata; ci dimenticheremo ben presto della sensazione del non avere niente addosso e avere caldo.

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